CALL FOR ARTISTS 2024 – L’EREDITÀ RUBATA / THE STOLEN HERITAGE
4-10 Novembre, Fabbrica del Vapore, Milano
Inviare la candidatura entro le 12:00 di Mercoledì 18 Settembre 2024
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«La bianchezza non è una questione di genetica ma di potere […]. Come ci può essere amore tra di noi se i privilegi degli uni si basano sull’oppressione degli altri?»
(Rachele Borghi citando Houria Bouteldja in Decolonialità e Privilegio, p. 45)
«Il livello ultimo della colonizzazione è la continua mutazione del suo motore: l’ingiustizia culturale ed economica. Poiché, sebbene i paesi colonizzati abbiano ottenuto l’indipendenza, sono diventati dipendenti dai loro ex occupanti attraverso due forme di proprietà: una industriale e l’altra immaginaria.»
(Kader Attia in Décolonisons les arts!, p.11)
Cosa lega il genocidio Palestinese al busto di Nefertiti nel Museo Egizio di Berlino? Quante persone non bianche frequentano le scuole di circo in Europa e quante di loro riescono a costruirsi una carriera professionale remunerativa e soddisfacente creando arte alle loro condizioni? Razzismo e oppressione sono alla base del nostro sistema economico. Il circo contemporaneo in Europa, spesso raccontato come un’arte innocente e libera che si alimenta del mito del margine ma che è a tutti gli effetti un prodotto della nostra società, replica gli stessi meccanismi di violenza e oppressione su cui si regge il nostro vivere in Occidente.
Il colonialismo non è solo una brutta pagina della storia dell’Europa, ma è il fondamento del suo potere politico: è ciò che le ha permesso di diventare ciò che è e di funzionare in maniera efficiente nel modo in cui è oggi. È ciò che legittima chi fa parte del sistema dominante a continuare ad arricchirsi a spese altrui – classi subalterne, donne, gruppi razzializzati o senza cittadinanza, o più in generale persone senza accesso al capitale economico, simbolico, culturale e relazionale che consentirebbe loro di vivere una vita “da persone libere”. Il colonialismo, tanto nelle scuole di circo quanto in ampia parte del mondo delle arti, è anche ciò che ci permette di vendere la “multiculturalità” come un valore. Ma a ben vedere è un valore costruito sull’appropriazione di una ricchezza altrui: il capitale creativo di chi viene a formarsi in Europa lascia i paesi di provenienza e cresce altrove. Non solo: questa “mancanza di possibilità” nei Paesi in cui l’arte non può essere un mestiere viene giudicata da noi come un disvalore e utilizzata per rinforzare il pregiudizio di superiorità delle società europee. Poco ci interessa scoprire quali sono gli effetti a lungo termine di questa “fuga”: ancora meno siamo dispostə a riconoscere che ha profonde radici nella storia coloniale dell’Occidente. La “diversità di culture” che monetizziamo qui proviene da una ricchezza conquistata altrove: una “eredità rubata”, un capitale immaginario mai riconsegnato.
Se domani smettessimo di essere razzistə, l’attuale sistema economico dell’Occidente crollerebbe. La domanda non è se siamo razzistə, ma come siamo razzistə.
Uno dei miti fondatori dell’Occidente coloniale è la libertà. Le esplorazioni, le conquiste e l’appropriazione sono state per secoli degli schemi che abbiamo interiorizzato e che oggi replichiamo largamente nelle nostre pratiche artistiche. La nostra idea di libertà è un prodotto della Modernità Bianca Occidentale, di matrice capitalista, legata ai concetti neoliberali di proprietà privata, autonomia, individualità, produttività, supremazia bianca, progresso, mobilità. Nega o neutralizza nuove opzioni di futuro collettivo basate sulla solidarietà, l’interdipendenza, la coscienza di classe, la crescita, l’improduttività, la decolonizzazione, il riposo. Esclude ogni possibilità di riparazione storica.
Che riflesso ha tutto questo nelle nostre pratiche di circo? In che misura e in quale senso possiamo quindi dire che le nostre pratiche sono anch’esse “coloniali”? Possiamo costruire un’alternativa?
Il mito romantico del margine, che ha largamente influenzato la narrazione del circo e contribuisce continuamente alla sua autoassoluzione, è stato utile a celare l’eredità profondamente coloniale del circo, perfino nelle sue forme più contemporanee. Questa edizione del progetto LA PAROLA AI CORPI prende le mosse dalle nozioni di privilegio e decolonialità per riconsiderare l’oppressione che quotidianamente subiamo e/o esercitiamo nelle nostre pratiche artistiche.
A partire dall’idea che la creazione circense sia spazio in cui si possano sperimentare e immaginare nuove pratiche di decolonialità, si cercano 7 artistə professionistə di circo interessatə a lavorare con Gaia Vimercati, ricercatrice indipendente, e Amanda Homa, autrice e artista di circo, per esplorare queste tematiche attraverso una condivisione di pratiche artistiche e teoriche. Il progetto LA PAROLA AI CORPI non si configura come una residenza strettamente finalizzata alla realizzazione di un progetto personale, ma come un incontro sperimentale tra teorie e pratiche all’interno del circo.
LA PAROLA AI CORPI 2024 è un percorso di ricerca che prevede:
- un primo incontro online tra le persone selezionate Mercoledì 16 Ottobre
- lo svolgimento di assignment tra l’incontro online e l’inizio della residenza in presenza
- la produzione di un testo scritto al termine della residenza
- una settimana di residenza collettiva a Milano, presso Fabbrica Del Vapore (Lunedì 4 – Domenica 10 Novembre 2024 compresi) dove la pratica circense entrerà in dialogo con altre forme di ricerca teoriche e performative.
Il progetto LA PAROLA AI CORPI è a cura di Gaia Vimercati, ricercatrice indipendente.
3° EDIZIONE
Artist* selezionati:
- Aurora Caja
- Carla Carnerero Huertas
- Vittorio Catelli
- Maria Celeste Funghi
- Sophia Nunes Rodriguez
- Ilaria Orsetti
- G. Re
2° EDIZIONE
Artist* selezionati:
- Nicola Bertazzoni
- Eloise Bonnaud – Lecoque
- Sarah Ferretti
- Laia Picas
- Sebastiano Moltrer
- Federica Pini Sandrelli
- Edoardo Sgambato
1° EDIZIONE
Artist* selezionati:
- Karla Arevalo
- Maddalena Beltrami
- Silvia Giliberto e Lucas Zileri
- Valentina Melotti
- Morgana Morandi
- Giovanni Zuffi